Sfruttamento dei profughi nelle aziende del Chianti: pagati 4 euro l'ora e maltrattati | Il Sito di Firenze


Pagati male (4 euro l’ora) e in nero. Mandati a lavorare in ciabatte o scalzi nei campi e nei vigneti del Chianti, inverno compreso.
Talvolta anche picchiati (ci sono video della Digos di Prato) e perfino insultati dai ‘caporali’ pachistani con epiteti di sapore razzista come ‘negro’. Così, centinaia di profughi provenienti dal Pakistan e dall’Africa venivano sfruttati tra Prato – dove erano reclutati – e il Chianti dove andavano a lavorare in aziende vitivinicole di Tavarnelle e Montespertoli. Ieri la Procura di Prato ha dato un’accelerazione all’inchiesta, che vede al momento 12 indagati per sfruttamento della manodopera clandestina, ordinando una trentina di perquisizioni e il sequestro di materiale probatorio. Nove sono pachistani, tra cui Tarik Sikander e la moglie: l’uomo ha una ditta con 115 assunti, la moglie un’altra con altre 50 persone. Ma loro complici – ha spiegato la procura di Prato – sono anche tre professionisti di Prato, commercialisti e consulenti del lavoro, che si occupavano di gestire tutta la parte amministrativa, buste paga comprese. Anche loro indagati.
Il percorso giornaliero dalla città tessile (partenza alle 5.30 in camion da via Carlo Marx) al prestigioso Chiantishire è stata scoperta quasi per caso il settembre scorso in un centro per profughi a Prato, la Fondazione Opera Santa Rita di Prato dove due migranti hanno fatto denuncia contro i loro sfruttatori. "Un giorno nella nostra struttura in S. Caterina, al momento del pranzo mancava una quarantina di ospiti", ricostruisce Nicoletta Ulivi, coordinatrice dell’emergenza profughi dell’Opera pratese. "Le persone mancanti all’appello tornarono poi la sera molto stanche, affamate e sporche di terra. La stessa situazione si è ripetuta il giorno seguente". "Così – continua Ulivi – abbiamo convocato una riunione d’emergenza con tutti i richiedenti asilo e i mediatori per farci spiegare cosa stesse succedendo. Due ci hanno raccontato cosa gli capitava e allora li abbiamo indirizzati a fare denuncia in Questura". E così è emerso il racket di operai clandestini. La Digos di Prato ha condotto le indagini, poi nell’inchiesta sono stati impegnati polizia stradale, Gdf di Prato, Corpo Forestale dello Stato.
Coinvolte nelle perquisizioni – ma i loro titolari non sono indagati – le aziende che fruivano della manodopera straniera, i cui proprietari risultano al momento ignari dello sfruttamento a cui i pachistani sottoponevano profughi, spesso loro connazionali. La vicenda è stata messa in luce anche da immagini raccolte con telecamere installate nei campi.

Pagati male (4 euro l’ora) e in nero. Mandati a lavorare in ciabatte o scalzi nei campi e nei vigneti del Chianti, inverno compreso.

Talvolta anche picchiati (ci sono video della Digos di Prato) e perfino insultati dai ‘caporali’ pachistani con epiteti di sapore razzista come ‘negro’. Così, centinaia di profughi provenienti dal Pakistan e dall’Africa venivano sfruttati tra Prato – dove erano reclutati – e il Chianti dove andavano a lavorare in aziende vitivinicole di Tavarnelle e Montespertoli. Ieri la Procura di Prato ha dato un’accelerazione all’inchiesta, che vede al momento 12 indagati per sfruttamento della manodopera clandestina, ordinando una trentina di perquisizioni e il sequestro di materiale probatorio. Nove sono pachistani, tra cui Tarik Sikander e la moglie: l’uomo ha una ditta con 115 assunti, la moglie un’altra con altre 50 persone. Ma loro complici – ha spiegato la procura di Prato – sono anche tre professionisti di Prato, commercialisti e consulenti del lavoro, che si occupavano di gestire tutta la parte amministrativa, buste paga comprese. Anche loro indagati.

Il percorso giornaliero dalla città tessile (partenza alle 5.30 in camion da via Carlo Marx) al prestigioso Chiantishire è stata scoperta quasi per caso il settembre scorso in un centro per profughi a Prato, la Fondazione Opera Santa Rita di Prato dove due migranti hanno fatto denuncia contro i loro sfruttatori. "Un giorno nella nostra struttura in S. Caterina, al momento del pranzo mancava una quarantina di ospiti", ricostruisce Nicoletta Ulivi, coordinatrice dell’emergenza profughi dell’Opera pratese. "Le persone mancanti all’appello tornarono poi la sera molto stanche, affamate e sporche di terra. La stessa situazione si è ripetuta il giorno seguente". "Così – continua Ulivi – abbiamo convocato una riunione d’emergenza con tutti i richiedenti asilo e i mediatori per farci spiegare cosa stesse succedendo. Due ci hanno raccontato cosa gli capitava e allora li abbiamo indirizzati a fare denuncia in Questura". E così è emerso il racket di operai clandestini. La Digos di Prato ha condotto le indagini, poi nell’inchiesta sono stati impegnati polizia stradale, Gdf di Prato, Corpo Forestale dello Stato.

Coinvolte nelle perquisizioni – ma i loro titolari non sono indagati – le aziende che fruivano della manodopera straniera, i cui proprietari risultano al momento ignari dello sfruttamento a cui i pachistani sottoponevano profughi, spesso loro connazionali. La vicenda è stata messa in luce anche da immagini raccolte con telecamere installate nei campi.