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Folklore e tradizione: 'Marco portato via dal diavolo'

Il secondo appuntamento con storie tenebrose
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Immagine articolo - Il sito d'Italia

Rimasto solo, dopo la morte della moglie e del piccolo che aveva in grembo, Marco non ne poteva più della vita. Continuava ad alzarsi all'alba per portare avanti il suo lavoro di boscaiolo. Lavorava sodo, per 10 ore filate. Abbatteva pioppi, faggi e querce secolari. Avrebbe voluto distruggere tutto il Creato. Una sorta di Attila, un flagello permanente votato all'annientamento. Di lui in paese tutti avevano paura. I bambini alla sola vista dell'uomo iniziavano a piangere, le donne cambiavano strada, vecchi e giovani al suo passaggio abbassavano lo sguardo.

 

Nessuno gli rivolgeva la parola, perfino l'oste della cantina che lo serviva innumerevoli volte durante la giornata si limitava a un cenno del capo e a raccogliere gli spiccioli. In verità pagava sempre. Si sedeva al suo posto in fondo al grosso camerone puzzolente, un tavolo oscuro in un angolo, e lì ingurgitava 3 litri di un potente rosso che lasciava l'alone al bicchiere anche dopo lavato.

 

Prima della tragedia Marco era un uomo solare e sorridente. Premuroso con la moglie Lucia, alla quale di ritorno dal bosco portava sempre un fiore nuovo. Una coppia felice a cui dopo 4 anni di matrimonio mancava solo un figlio. Quel figlio nato morto che porterà via anche la donna amata.

 

Una volta colpito dal terribile lutto Marco cominciò ad odiare tutto e tutti. Il suo nemico principale era Dio. Bestemmiava il nome dell'Altissimo in ogni istante della sua vita. Lo sfidava quotidianamente: “Mi hai strappato l'amore, mi hai donato strazio e sofferenza”... e giù a maledire.

 

Ogni tanto la chiesa principale del villaggio veniva oltraggiata. Clamoroso l'episodio dell'acquasantiera: il giorno di Natale ci sguazzavano dentro piccole rane. Tra i fedeli si scatenò il panico. Il parroco dopo il gesto dovette riconsacrare la chiesa al Cuore Immacolato di Maria. Un'altra volta il grosso portone in legno massiccio delle casa di Dio fu trovato completamente bruciato. Tutti sapevano chi era l'autore di simili gesti profanatori ma nessuno osava accusarlo pubblicamente né tanto meno cercare di punirlo. Anche perché la strada che portava al promontorio su cui sorgeva la piccola casa di Marco era costellata di fetide carogne di animali selvatici, quasi un avvertimento a chi avesse tentato di raggiungerlo.

 

La paura fermava le gambe dei cittadini a valle. Gli unici che una volta alla settimana raggiungevano il boscaiolo erano gli zingari, i soli acquirenti della sua legna, che pagavano oltre che col denaro, con galline, rame e attrezzi vari.

 

Le chiacchiere di paese parlavano di pranzi dell'uomo a base di carne cruda. Non aveva amici. L'unico compagno del rude uomo era il vino. Anche gli zingari rimanevano da lui giusto il tempo di concludere l'affare dopodiché risalivano le loro carovane pronti per salpare verso una nuova metà.

 

Un giorno mentre rincasava completamente ubriaco avvenne qualcosa di straordinario. Aveva bestemmiato più di ogni altra volta. L'Onnipotente, la Santa Vergine, tutti i santi che il calendario ricordi. Ad un certo punto se la prese col demonio, prese a inveire e a schernire Satana. Accadde l'irreparabile. Il tetto della vecchia catapecchia fu risucchiato da un vortice, piombò su Marco qualcosa di indefinibile: un drago con la testa di uomo, sulla fronte le tre cifre: 666. Il boscaiolo venne preso di forza, sorvolò in un attimo tutti i cieli della terra. Prima di chiudere gli occhi si ritrovò nel suo letto.

 

Il martedì tornarono gli zingari per la consueta spesa, quel giorno non pagarono. L'uomo che un tempo fu marito esemplare giaceva nel suo tugurio privo di vita. Una volta a valle gli zingari avvertirono il prete.

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