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Famiglia abbandonata

La storia e l'appello video di Maurizio Villani, vive in camper da 2 anni

"Ci sentiamo in colpa per l’indifferenza di una città che si sta disumanizzando"
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Immagine articolo - Il sito d'Italia

I ragazzi di Progetto Dinamo, associazione politico-culturale fiorentina, dopo essere venuti a conoscenza della storia di Maurizio Villani hanno deciso di portargli la loro solidarietà.

 

Via Lami, una normalissima strada di città che corre lungo la ferrovia dello Statuto, delimitata da un muro completamente imbrattato che evoca un forte senso di degrado, di ghetto. Dall’altro lato della strada eleganti palazzine residenziali. Ha da poco smesso di piovere. Auto e motorini sfrecciano indifferenti lungo la via. Basta percorrere pochi metri dall’imbocco della strada per intravedere un camper, vecchio e po’ malconcio, ricoperto di appelli scritti con pennarelli colorati che iniziano a sbiadire.

 

Arrivati di fronte alla casa mobile, troviamo ad accoglierci un bel bimbo biondo che gioca sul marciapiede, rincorrendo la sorellina di quattro anni. I bambini sorridono e ci dicono che il “nonno” è dentro con il fratellino più piccolo, Siro. L’uomo sulla settantina, accortosi della nostra presenza, spunta fuori dal camper, in braccio a lui un neonato dagli immensi occhi blu, con una voce rauca richiama i fratellini verso la casa mobile e ci saluta, chiedendoci chi cerchiamo. Maurizio Villani, il papà e proprietario del camper tornerà a momenti con Rita, la mamma dei bambini.

 

Durante la breve attesa, cerchiamo di metabolizzare le immagini che ci scorrono davanti. L’avevamo letto sui giornali e visto nei TG ma l’impatto è comunque surreale. I piccoli sono incredibilmente sereni: il camper è un gioco e poi, in quella buffa casa, ci vive il babbo, che incontrano solo nei fine settimana. Loro vivono fino al giovedì con mamma a “Casa Speranza” una struttura d’accoglienza di Settignano che ospita solo madri e figli. Dopo una decina di minuti arrivano mamma e papà. Sono sorpresi della nostra presenza. I bambini corrono verso i genitori e gli saltano in braccio. Ci presentiamo e iniziamo a chiacchierare.

 

“Io avevo una ditta con diversi dipendenti, lavoravo nel campo edile – dice Maurizio con voce sicura – purtroppo, da quando le cose hanno iniziato ad andare male, i soldi guadagnati in una vita sono finiti con incredibile rapidità: il lavoro diminuiva, aumentavano i ritardi nei pagamenti, da parte di privati ma anche di committenti pubblici e così, nemmeno io ero in grado di saldare tutti i conti- ammette l’uomo – poi è arrivato lo sfratto, mentre Rita aveva appena scoperto di aspettare il nostro terzo bambino. Siamo in attesa di un alloggio popolare che sembra non arrivare mai. Io vivo nel camper da un anno e mezzo e da poco, ho invitato a stare con noi il “nonno”, non c’è nessun legame di parentela, era un vecchio conoscente finito in disgrazia dopo gravi problemi di salute, anche lui aveva perso la casa, dormiva al pronto soccorso ed abbiamo deciso di ospitarlo, i bambini gli vogliono un gran bene”.

 

Il suo caso ci fa comunque pensare che il Comune, solerte nella cura di migliaia di migranti, stia dimenticando quella parte della popolazione che dopo aver pagato ogni contributo al comune per generazioni, per anni, ora, complice la crisi economica, si trova in completa povertà. Il discorso si sposta infatti sulle condizioni in cui versa il paese, sulle ditte fallite, sulle bancarotte e sugli innumerevoli suicidi.

 

Ci sentiamo in colpa per l’indifferenza di una città che si sta disumanizzando, che sta perdendo il contatto umano, sta dimenticando la solidarietà e l’amicizia che stringevano i rapporti tra concittadini, tra vicini. In una società in cui il primato non spetta mai ai nostri fratelli ma alla beneficienza mediatica, teniamo a ricordare ad ogni fiorentino, che la famiglia Villani, era quella che comprava frutta e verdura da voi, che mangiava la pizza nel vostro ristorante, che si riforniva nel vostro negozio, che pagava i contributi al nostro comune. Adesso, sono loro ad aver bisogno di noi, con la dovuta precedenza su chi, in questa città non è nato e vissuto.

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