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Firenze e una settimana difficile

Je suis fioriera? Censurare l'odio razzista diventa impossibile

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Foto Paolo Lo Debole

“Matte penso che sia il caso di intervenire. Per favore, non mi sta piacendo per niente quello che sta succedendo”. Questo era il contenuto della telefonata della mia collega. Era martedì scorso. Ero su Ponte Vespucci a Firenze, a pochi metri da dove Roberto Pirrone ha ucciso Idy Diene, cittadino del Senegal. 

 

Qualche minuto prima avevo pubblicato, sulla nostra pagina Facebook, una diretta di quello che stava succedendo. Erano le tensioni di alcuni manifestanti dopo l’omicidio. Ecco, da quel momento sono iniziate le migliaia di commenti, che anche in questo esatto momento in cui leggete, sono là che aumentano. 

 

Commenti razzisti, violenti, irripetibili. “Scimmie” e “Bruciare” sono le parole più scritte. Si moltiplicano di minuto in minuto,  Cerchiamo di cancellare gli insulti, le foto di Hitler. Scriviamo un messaggio. Due messaggi per spiegare, quantomeno, che ci dissociamo da parole di odio razzista e di violenza assurda. Cancelliamo, e riceviamo insulti perché siamo dei “censori”. Censori del razzismo. 

 

Ma non ci siamo riusciti, è bene chiarirlo subito. Purtroppo, nel nostro umile e microscopico lavoro, non siamo riusciti ad arginare quel fiume d’odio che scorre purtroppo sulle tastiere e nelle menti di troppe persone, anzi, paradossalmente, facendo informazione lo abbiamo alimentato. Dà molto fastidio scrivere un articolo o pubblicare un video che scatena inspiegabilmente una reazione scoraggiante, a tratti disumana.

 

E’ stata una settimana molto difficile per Firenze. Ognuno di noi ha percepito emozione e partecipazione per ogni evento accaduto. Ci resta il dolore, ci resta il sangue sull’asfalto del ponte. Il sacchetto degli ombrelli, la busta con gli accendini. La pancia all’insù. Il telo sul corpo. Ci resta la solidarietà, strumentalizzata in parte, di una piazza infinita che ha reso omaggio a Idy.

 

Ma quel che resta e fa più male, purtroppo, è l’odio.

Figlio di Facebook e del tempo in cui viviamo. Figlio di un egoismo, talvolta anche genuino, esasperato dal disagio dell’immigrazione e da ciò che ne deriva. Odio verbale, gratuito e ingiustificato. Ne è uscito ovunque. Da tutte le parti. Senza distinzione.  Parlare di “guerra totale” non aiuta. Però delle fioriere rotte si ricomprano, mentre la vita ed il rispetto non hanno valore. 

 

Sembrano ragionamenti apparentemente logici. Eppure l’odio razzista che leggiamo sotto il nostro lavoro riflette due aspetti unici e così distanti: la libertà di espressione connessa alla ragione di questo omicidio. 

 

Un uomo che uccide un altro uomo perché disprezza le figure apparentemente deboli. E’ intolleranza. E’ violenza. Se poi ammazzi scaricando un caricatore di pistola su un uomo di pelle nera, beh, si aggiunge quella componente razzista che appartiene a quell’omicida. 

 

Perché se abbiamo paura a dire che, l’omicidio di Idy è un omicidio razziale, vuole dire che abbiamo paura ad ammettere che tutti noi siamo un po’ razzisti. Dei razzisti timidi, o forse inconsapevoli

 

E’ un problema che affligge molti, perché lottiamo, marciamo, condividiamo i post ma non sappiamo che il nostro compagno di banco è un po’ razzista. E non l’avremmo mai detto. Non ci rendiamo conto che è la gente comune che scrive quei commenti e non c’è più vergogna nè pudore a usare certe parole e certe espressioni. E non sono per forza fascisti o leghisti a farlo, sia chiaro. 

 

Dietro la libertà di espressione, oggi però, ci portiamo dietro quel disprezzo sociale con cui, pericolosamente, conviviamo ogni giorno, sopravvivendo in un galleggiamento di teste pensanti che si esprimono senza vergogna sui social network.

 

La libertà di espressione è un diritto che non si contratta, ma qua si rischia l’overdose. Non abusiamone. Cerchiamo di salvarci, perché la disumanità sta diventando grave e pericolosa e sembra quasi che appartenga davvero a noi. Non si tratta di essere buonisti, ma consapevoli del tempo che stiamo vivendo.

 

 

Foto Paolo Lo Debole 

 

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