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3 marzo 2014

7° anniversario morte Riccardo Magherini, il padre Guido scrive al Sindaco Nardella

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Immagine articolo - ilsitodiFirenze.it

Una lettera struggente per chiedere che sia riposizionato il tabernacolo dedicato a Riky. E' quella scritta al Sindaco di Firenze Dario Nardella, nel giorno del settimo anniversario della morte, da Guido Magherini, ex indimenticato calciatore e padre di Riccardo.

 

La notte tra il 2 e 3 marzo 2014 Riky moriva durante un arresto dei carabinieri in Borgo San Frediano a Firenze.

 

Una scena agghiacciante, a cui assistirono 29 testimoni. Una vicenda che ha visto due sentenze di condanna per omicidio colposo, per tre dei quattro carabinieri intervenuti quella notte, annullata senza rinvio dalla Corte di Cassazione. 

 

Il testo della lettera inviata da Guido Magherini al Sindaco di Firenze 

 

Firenze, 2 Marzo 2021
 
A Dario Nardella, Sindaco di Firenze 
 
Caro Sindaco, 
 
come sai è dal mese di Agosto che manca il tabernacolo con la foto di Riky in Borgo San Frediano. È stato tolto senza alcun avviso. È stato rubato ai nostri sentimenti. 
 
Oggi, 2 Marzo, sarà una lunga giornata perché aspetterò, come da sette anni,
la mezzanotte inoltrata per portare un fiore in segno di amore a mio figlio Riccardo. Aspettando con lui l'ora della sua morte. Per non lasciarlo da solo a sopportare tanto dolore. Invocare aiuto, sotto il peso di tre carabinieri, preso a calci e soffocato con un ginocchio sul collo. 
 
Gridava aiuto, proprio lì, sul retro della chiesa del Cestello, in borgo San Frediano, la mia chiesa, il mio quartiere che mi ha visto bambino, crescere tirando calci ad un pallone, insieme a tanti amici di un rione storico. In cui le case non avevano porte che si chiudevano, ma restavano aperte per accogliere chi non aveva da mangiare. Poteva succedere a tutti. Ma una tavola pronta si trovava  sempre e un brodo di trippa non si negava a nessuno.
 
Erano bei tempi, caro Dario, in cui si abitava insieme alle zie, che erano come seconde mamme ed eravamo pieni di tutto l'amore del mondo.  La mia era una famiglia di operai: mio babbo Attilio lavorava per Brandimarte e puliva l'argento. La mia mamma Marisa era sigaraia. Abitavamo in via dell'Orto. 
A quei tempi il prete di riferimento per le famiglie del quartiere era don Cuba che portava, noi giovani, al mare e in montagna, sempre pronto ad aiutare i più deboli. 
 
Eravamo i figli di una generazione che aveva vissuto la guerra, aveva conosciuto il fascismo, i tedeschi e le camicie nere. Aveva fatto la resistenza e combattuto per la libertà. Con tanto coraggio, ma anche con tanta paura. La paura che leggevo negli occhi della mia mamma, quando mi raccontava delle grida strazianti, di dolore e di aiuto che uscivano come lame dalle stanze delle torture, proprio accanto al Cestello durante gli interrogatori dei fascisti.
 
Il Cestello era la nostra chiesa, caro Dario, il babbo e la mamma ci si sono sposati con pochi soldi ma con tanti sorrisi, ancora impressi nelle foto in bianco e nero . Io e mio fratello Luciano ci abbiamo fatto la comunione e la cresima, in tempi diversi ma con lo stesso vestito e col fiore all'occhiello.  
 
Lo stesso fiore che stanotte  vorrei mettere a quel tabernacolo che non c'è più, proprio lì, sul retro della chiesa del Cestello, in borgo San Frediano.
Quella stessa chiesa riempita da una città intera, nel giorno del suo funerale. 
Firenze, la nostra città. 
Firenze di Riccardo. 
 
Caro Dario, ti prego, fai rimettere il tabernacolo, fammi portare un fiore a Riky, alla sua memoria e perché non succeda più a nessuno. 
 
Firmato
un ragazzo di San Frediano.
 
 
 
 
 
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